martedì 26 novembre 2013

Dobbiamo un gallo ad Asclepio



Siamo nell’anno 399 a.C. ad Atene. Sul letto di morte Socrate dice rivolto a discepoli e amici presenti: “Dobbiamo un gallo ad Asclepio.” Invitandoli a saldare un debito che avevano contratto nei giorni precedenti. Quindi si copre il volto... e dopo un ultimo sussulto, muore.


Poco prima un uomo aveva portato la ciotola contenente il veleno che avrebbe ucciso Socrate. “La prese – descrive Platone nel Fedone – con tutta la sua serenità, senza alcun tremito, senza minimamente alterare colore o espressione del volto, ma guardando quell'uomo, di sotto in sù, con quei suoi occhi grandi di toro.”


Riuscite a immaginarvi al suo posto? Sdraiati su un letto, negli ultimi istanti della vostra vita? Socrate è un uomo che sta per morire, che sta per abbandonare questo mondo, che non rivedrà più le persone più care che lo circondano in quel momento, eppure è il più lucido e sereno tra coloro che si trovano nella stanza.


“Molti di noi che fino allora, alla meglio, erano riusciti a trattenere le lacrime, quando lo videro bere, quando videro che egli aveva bevuto, non ce la fecero più; anche a me le lacrime, malgrado mi sforzassi, sgorgarono copiose e nascosi il volto nel mantello e piansi me stesso, oh, piansi non per lui ma per me, per la mia sventura; di tanto amico sarei rimasto privo.”

“Apollodoro poi, che dal principio non aveva fatto che piangere, scoppiò in tali singhiozzi e in tali lamenti che tutti noi presenti ci sentimmo spezzare il cuore, tranne uno solo, Socrate, anzi proprio lui esclamò: «Ma che state facendo? Siete straordinari. E io che ho mandato via le donne perché non mi facessero scene simili; a quanto ho sentito dire, bisognerebbe morire tra parole di buon augurio. State calmi, via, e siate forti.”


Lui, che ha appena bevuto la cicuta e sta morendo, invita gli altri a stare calmi. La domanda è: che cosa fa sì che un uomo possa raggiungere questo grado di coscienza?


“E noi, provammo un senso di vergogna a sentirlo parlare così e trattenemmo il pianto. Egli, allora, andò un po' su e giù per la stanza, poi disse che si sentiva le gambe farsi pesanti e così si distese supino ...”

“Egli era già freddo fino all'addome, quando si scoprì (s'era, infatti, in precedenza coperto) e queste furono le sue ultime parole: «Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio, dateglielo, non ve ne dimenticate.»”




Queste furono le ultime parole di uno fra gli uomini più grandi che abbiano calcato la crosta di questo pianeta. Sono passate alla storia, poiché dietro di esse, a parte la famosa ironia socratica che aveva costellato tutta la sua vita, si colloca l’insegnamento forse più grande che un maestro possa lasciare ai suoi discepoli: la capacità di vivere il qui-e-ora, l’istante presente, l’Adesso... come direbbe anche un famoso personaggio del nostro tempo.


Socrate non è ancora morto, e fino a quel momento le sue preoccupazioni sono altre. Quando arriverà la morte si occuperà anche di quella, ma fino a un istante prima si occupa di altre incombenze... magari più urgenti! Un autentico maestro zen non saprebbe fare di meglio e non saprebbe essere più ironico di così.


Nel corso degli ultimi dieci anni circa, sia i ricercatori che i professionisti (psicologi, neurologi, counselor e psicoterapeuti in genere) che operano nell’ambito della salute mentale hanno scoperto che le pratiche dimindfulness, antiche e moderne, sono in grado di alleviare praticamente ogni genere di sofferenza psicologica: dalle preoccupazioni e insoddifazioni di tutti i giorni fino ai probelemi più gravi di ansia, depressione e abuso di sostanze. La ricerca sperimentale e poi la pratica clinica stanno confermando ciò che le antiche culture affermano da lungo tempo, cioè che lo stato dimindfulness permette di alleviare, se non far scomparire del tutto, le nostre sofferenze.


La mindfulness viene definita (vedi bibliografia in fondo all’articolo) come consapevolezza dell’esperienza presente accompagnata da accettazione. In verità non ci sarebbe nemmeno bisogno di aggiungere la seconda parte della frase, in quanto l’autentica consapevolezza del momento presente è sovramentale, ossia priva di giudizio, e dunque già per definizione intrisa non solo di accettazione, ma anche di amore per quanto viene osservato. In ogni caso io ho riportato la definizione clinica.


Ma è esattamente ciò di cui hanno parlato Socrate, Buddha, Lao Tse, Osho, Krishnamurti, Gurdjieff, Tolle, ecc. ... ognuno utilizzando termini differenti in contesti differenti. Ecco quindi il grande segreto che ha attraversato la storia della spiritualità sulla Terra. Ogni insegnamento che miri al benessere dell’individuo alla fine può essere sintetizzato nello stesso modo: occupatevi solo del momento presente e non soffrirete più.



Stiamo trattando di una capacità che va allenata esattamente come ogni altra capacità umana. Uno studio (vedi sempre bibliografia) condotto su un gruppo di persone praticante la mindfulness per diversi anni, con almeno sei ore di pratica alla settimana, ha evidenziato un ispessimento consistente della corteccia cerebrale in tre aree del cervello: insula anteriore, corteccia sensoriale e corteccia prefrontale. Il grado di ispessimento è risultato proporzionale alla quantità di tempo che ogni persona aveva dedicato alla pratica settimanalmente.


Come avrete capito il termine mindfulness è un tentativo – a mio parere molto ben riuscito – di definire scientificamente una pratica e poi uno stato interiore che sono sempre stati presenti nei differenti percorsi esoterici e spirituali sia occidentali che orientali. Per cui tutti gli esercizi di ricordo di sé che io consiglio nei miei libripossono tranquillamente rientrare in questa definizione, così come il percorso che propone Eckhart Tolle o quello di Rudolf Steiner.


Forse ciò che ancora non è stato scoperto sperimentalmente è che grazie a una pratica di concentrazione sul momento presente (l’essere “Figli del Momento”, come diceva Draco Daatson ai suoi Guerrieri) si slitta fuori dalla mente per identificarsi – e al contempofabbricare – il corpo causale, ossia la sede di ciò che le religioni chiamano anima. Non stiamo quindi unicamente svolgendo un esercizio che ci serve a “rilassarci in ufficio”, ma abbiamo fra le mani un’impresa ben più grandiosa.


La Bellezza di vivere istante per istante senza le preoccupazioni d'una mente che ci sballotta dai ricordi del passato alle ansie sul futuro è la ricompensa per chi ha intrapreso con cuor-aggio la Via che porta a Ucronia, la città senza tempo.


E ricordatevi... che dobbiamo un gallo ad Asclepio.


Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)





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