sabato 9 novembre 2013

Meditazione. Celebrare la sofferenza





















Meditazione. Celebrare la sofferenza. Quando ti dico di godere della sofferenza non voglio dire che devi diventare un masochista; non voglio dire che devi creare sofferenza per te stesso e poi provarne piacere. Non voglio dire: vai, buttati giù da una rupe, procurati qualche frattura e poi goditela. Niente affatto. Non ti sto dicendo di essere masochista; sto solo dicendo che la sofferenza esiste, non hai bisogno di andarla a cercare. Ce n’è già a sufficienza, è sempre presente: la vita per sua natura crea sofferenza. Ci sono le malattie, c’è la morte, c’è il corpo; per la loro stessa natura, si crea sofferenza. Guardala, osservala con occhio spassionato.

Guardala: che cos’è, che cosa succede. Non sfuggirla. La mente subito dice: “Scappa, non guardarla nemmeno”. Ma se scappi, non puoi essere estatico. Quando fare questa tecnica: La prossima volta che ti ammali e il dottore ti dice di rimanere a letto. Il metodo: Chiudi gli occhi e resta tranquillo a letto osservando la tua malattia: guarda che cos’è, osservala. Non cercare di analizzarla, non trovare teorie per spiegarla; osserva solo cos’è. Il corpo è stanco, febbricitante; osservalo. All’improvviso, sentirai che sei circondato dalla febbre eppure dentro di te c’è un punto molto fresco; la febbre non può toccarlo, non può influenzarlo. Il corpo sta bruciando, ma quel punto di freschezza non viene toccato. Mentre sei a letto, con la febbre e il corpo che brucia, osserva. Osservando, ritornerai verso la sorgente. Osservando, senza far nulla… Cosa puoi fare? Hai la febbre, devi passarci attraverso; non serve a nulla combatterla. Ti riposi; se lotti con la febbre, questa potrà solo aumentare ancora, ecco tutto.

Quindi osserva. Osservando la febbre, diventi fresco; più osservi e più diventi fresco. Solo con l’osservare arrivi a una vetta, a una vetta così fresca, che persino l’Himalaya te l'invidierà; persino i suoi picchi non sono così freschi. Questo è il Gourishankar, l’Everest che ti porti dentro. Quando senti che la febbre è scomparsa… In effetti non c’è mai stata; era solo nel corpo, molto, molto distante. Tra te e il tuo corpo esiste uno spazio infinito; ti dico che è uno spazio infinito, una frattura insuperabile. Tutta la sofferenza esiste alla periferia. Gli indù dicono che è un sogno, proprio perché la distanza è così grande e insuperabile. È come un sogno che accade da qualche altra parte, in un altro mondo, in un altro pianeta, non a te. Quando osservi la sofferenza, all’improvviso non sei più uno che soffre, e inizi a provare gioia. Tramite la sofferenza diventi consapevole del polo opposto, il tuo essere interiore colmo di estasi. Quindi, quando dico di celebrare la sofferenza, intendo: osserva. Ritorna alla sorgente, centrati.

E allora, di colpo, l’agonia scompare, e c’è solo estasi. Chi vive alla periferia, esiste nell’agonia; per lui non c’è estasi. Per chi è arrivato al suo centro, non c’è agonia ma solo estasi. Quando parlo di infrangere la coppa, intendo dire spezzare la periferia. E quando vi parlo di essere totalmente vuoti, sto dicendo di ritornare alla sorgente originaria, perché nasciamo dal vuoto e ritorniamo al vuoto. Vuoto è una parola migliore di Dio perché con Dio cominciamo a pensare che ci sia una persona. Buddha non ha mai usato “Dio”; ha usato sempre sunyata – il vuoto, il nulla. Al centro sei non-essere, sei nulla, uno spazio vastissimo ed eternamente fresco, silenzioso, estatico. Quando dico di celebrare la sofferenza, voglio dire osservala, e allora potrai goderla. Quando dico di goderla, intendo: non sfuggirla. Osho, Tratto da: A Bird on the Wing

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