giovedì 27 febbraio 2014

La Psicomagia di Jodorowsky





L’uscita di un libro affascinante: ‘Psicomagia: una terapia panica’ (Feltrinelli, 1997) fornisce un’ottima occasione per parlare di Alejandro Jodorowsky.
Uno dei pochi autori, se non l’unico, che sia riuscito, con certo successo di pubblico, ad affrontare in modo non superficiale né distorto, tematiche e simbologie proprie alla tradizione esoterica nella sua opera teatrale e letteraria prima, cinematografica poi, ed infine perfino in quella fumettistica. La sua figura introduce un tema difficile e stimolante: la possibilità di affidare semi di una conoscenza ‘altra’ al linguaggio standardizzato e convulso dei mezzi di comunicazione di massa – negazione stessa di ogni forma iniziatica – cavalcando la tigre della modernità.
Il surrealismo è un linguaggio artistico che utilizza anche simboli inconsci, cioè simboli in grado di superare la barriera di censura logica della coscienza. Jodorowsky, epigono dei surrealisti, grande ammiratore di André Breton, negli anni 60 entra in contatto con una guaritrice messicana, Paquita. Vede in lei un modo di agire analogo a quello surrealista. Vede che i metodi che Paquita utilizza per guarire i suoi ‘pazienti’, non hanno nessun valore dal punto di vista della medicina canonica e tradizionale. Ma la forza di suggestione che li pervade, è tale da portare spesso il ‘paziente’ a reagire, a intraprendere egli stesso la strada per una guarigione, per ritrovare una forza positiva dentro di sé, oppure paradossalmente invece per un’accettazione serena della malattia.
Jodorowsky, profondamente affascinato da un metodo di cura così fittizio eppure così psicologicamente appagante e quindi “necessario” al benessere delle persone, elabora quindi una forma d’arte che abbia come fine la guarigione. E la chiama Psicomagia.
Per mezzo di quella che egli chiama ‘gesto poetico’, egli propone all’interlocutore un gesto da realizzare, in apparenza privo di logica, in realtà con un dirompente impatto emotivo, che lo porterà a vedere e percepire la propria realtà da un punto altro, diverso, e nuovo. Quindi l’interlocutore, realizzando il gesto proposto dallo psicomago, spezza la quotidianità delle proprie problematiche e del suo personale vissuto, per arrivare a una nuova percezione del problema.
Esempi di atti psicomagici: una persona parlava a Jodorowsky dei propri problemi economici, dicendogli che non aveva mai un soldo in tasca. Jodorowsky gli chiese semplicemente di incollare alle proprie scarpe due monete, in maniera tale che camminando si potesse sentire il tintinnio delle monete sulla strada. A un ragazzo, orfano del padre, la cui figura, idealizzata e severa, continuava a condizionare la vita, chiese di bruciare una foto del padre, gettando le ceneri in un bicchiere di vino, e quindi di berlo. Il gesto psicomagico è finalizzato ad essere comunque costruttivo, e positivo. Il suo è un tentativo di dare all’arte una dimensione di “guarigione”, non più meramente estetica né per fini politicizzati. Jodorowsky racconta di come si rivolse a lui e alla psicomagia per curarsi dalla depressione anche un grande attore italiano. Non viene mai nominato il nome dell’attore, ma è facile vedere la figura di Vittorio Gassman nelle scarne descrizioni disponibili. Gassman si rifiutò di compiere il gesto psicomagico proposto da Jodorowsky (un complesso rituale in cui doveva sgozzare un gallo sulla tomba della madre), dicendogli ‘ma io non posso. Io sono Vittorio Gassman’. Per Jodorowsky quella fu la vera natura della depressione dell’attore, il dover “portare” un nome come un’etichetta.
Come si può intuire anche solo da questi brevi accenni, il personaggio e la “filosofia” che emergono da questo libro, sono assolutamente irresistibili ed eccentrici rispetto a tutte le etichette note, siano le più astruse terapie psicologiche ed analitiche, l’occultismo o il supermarket New age.
Molte pagine che restano indelebili nella memoria: le notevoli esperienze di “sogno lucido” e di controllo del sogno; l’incontro fantomatico con Carlos Castaneda; il lungo apprendistato come assistente della bruja messicana Pachita, così simile ad un personaggio dei suoi film; gli incredibili ‘atti psicomagici’ che risolvono (o talvolta non risolvono) numerosi casi “clinici”. Una lettura, assai utile, in cui si può trovare molta saggezza e molta follia, in cui – come dice l’autore parlando di Castaneda: – ‘…Se c’è imbroglio, è imbroglio sacro…’. E proprio questo, Jodorowsky: “clown mistico”, “ciarlatano trascendentale”, “professore di immaginazione”, “imbroglione sacro”.

[Da Walter Catalano ne: «Il Giornale dei Misteri», n. 328, febbraio 1999 (ibidem)]

La Psicomagia di Jodorowsky

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